lunedì 11 luglio 2011

Alexandros Capitolo I -We're Going Home-

Da pochi giorni avevano abbandonato l'accampamento posto poco fuori le foreste dell'India più estrema, il sole avido cadeva sulle teste degli elmi in bronzo della falange che si muoveva in un lungo serpente trascinandosi dietro nelle salmerie vere e proprie città. Nei carri trainati dai buoi delle pendici del Caucaso i bambini bastardi dei soldati , concepiti dalle donne persiane e barbare che pian piano nel giro di sette anni avevano conquistato, cercavano riparo fra le tende porpora e su delle stuoie improvvisate insieme alle madri mentre a piedi seguivano geometri , architetti , prostitute e artigiani, sacerdoti e indovini , malavitosi che abbandonavano le città per contrabbandare vino e acqua fra gli scudieri di Filippo e poi ancora allevatori, pastori , mercanti e finanzieri , matematici e studiosi e scultori e pittori, tutta gente acculturata che faceva gola al Re dei Re Alessandro, figlio di Zeus per i greci secondo l'oracolo di Delfi, e figlio di Amon Zeus per l'oracolo di Siwa non chè faraone per gli egiziani. Il re a cavallo di Bucefalo conduceva la lunga macchina del suo stato nel rientro verso Babilonia. Era notevolmente provato dall'ultima battaglia contro il re delle tribù indigene che per poco non assestò un colpo mortale al costato del giovane re sognatore con la sua lancia dalla punta in oro scagliata da quella grande creatura chiamata elefante. Era rimasto tre settimane sotto le cure del suo medico Filippo bevendo tonici di dubbia origine e facendosi cambiare ogni mattina e sera da Leptine facendo il bagno in maleodoranti profumi per impedire che la ferita si infettasse che ormai pian piano sentiva il suo corpo abbandonarlo come anche il suo esercito sempre più convinto della morte del re. Usci solo dopo due settimane fuori dalla tenda del re Dario ,accuratamente issata sullo spiazzo erboso più alto nella collina fuori dalla foresta , per poter passare in rassegna l'esercito. Camminava scortato da Tolomeo e da Efestione pronti a sorreggere l'ancora provato corpo del re che si faceva strada fra l'erba ai piedi della foresta con un bastone dall'elsa in avorio sorretto dalla mano sinistra a causa del costato ferito e che provocava fitte dal dolore lancinante; si portò sulla cima del colle alto poche decine di metri rispetto l'esercito asserragliato nei ranghi. Sulla sinistra erano radunati gli squadroni della cavalleria etera e di quella macedone e persiani, i nobili, i più ricchi e in grado di permettersi un cavallo una spada ed una armatura propria, al centro la falange in tutti i suoi battaglioni teneva le sarisse con le punte rivolte verso il cielo mentre sulla destra continuava la fantaria barbara , quella persiani, e quella degli agrigiani, uomini delle montagne della Tessaglia esperti scalatori , ma rudi e barbari da una ferocia spesso incontrollabile ma solo e unicamente devoti ad Alessandro. Quando la figura del re prese forma sulla cima del colle illuminata dal sole che da poco sorgeva verso Est l'esercito scoppiò in un ruggito leggendario.

                                                            Alexandrè! Alexandrè!

Gridavano i soldati levando gli scudi verso l'alto e cominciando a sbattere le sarisse, le lance , e le spade contro di questi scatenando sibili metallici lungo tutta la vallata, alzando grida come ruggiti di leoni, cominciando a lacrimare gioia e dolore dagli occhi vedendo il pilastro della loro vita prendere forma sotto il sole di Apollo, il Re che per primo scatenò il suo destriero a spada sguainata verso gli elefanti dei barbari, il re che mise la sua vita sullo stesso piano dei suoi soldati, che sacrifico tutto anche solo per salvare uno di loro e che non si risparmiò di condividere il freddo, il caldo, le ferite e le gioie insieme a i suoi soldati. E adesso era li,  un'altra volta il re era vivo dopo l'ennesima ferita mortale arrecatagli dal nemico. disse Efestione con le lacrime agli occhi a Tolomeo che erano rimasti a distanza lasciando scena libera ad Alessandro. I cavalli nitrivano , la cavalleria alzava le lance al cielo, la Torma di Alessandro, le sue guardie, la Punta che lo condusse contro i tebani , che penetrò le legioni degli immortali di Dario, che si scontrò contro animali dalle lunghe zanne in avario e orribili proboscidi al posto del naso , si levò in grida di gioia e qualcuno di loro portò le mani sul volto a coprire gli occhi probabilmente umidi di lacrime Gridò uno forse sulla terza o quarta fila dello schieramento. Disse un altro nel fragore della gioia dell'esercito, ma quando il re levo la mano al cielo in attesa della parola tutti si ammutolirono. Disse il re chinando il busto verso l'esercito senza nascondere accenni di dolore a causa della ferita che pian piano tornava ad aprirsi riversando qualche rigagnolo di sangue che macchiava il bendaggio. L'esercito esultava davanti a quella scena, poche volte si era visto un re chinarsi verso dei semplici contadini che reggevano una lancia, forse troppo rare a tal punto da rendere quel momento unico nella loro vita, erano diventati dei. Ma ognuno di loro aveva un desiderio represso che si erano dimenticati di mostrare in quel momento, la nostalgia di casa, le vallate della Macedonia, le foreste di Pellà e le colline di Mieza, per alcuni la vera casa era diventata Babilonia, per altri , come Tolomeo, lo era diventata Alessandria a Nord dell'egitto, per altri ancora le altre undici Alessandrie erette verso la il viaggio a oriente. Ma ognuno desiderava rivedere i parenti, i figli, le mogli, di sentire il profumo fragrante di casa. qualche voce si era udita solitaria < Torniamo a casa?> disse uno disse un uomo canuto in prima fila, un soldato degli scudieri con la stella argeade d'argento segno dell'essere veterano. Qualcuno levò le mani al cielo, altri intensificavano il loro pianto, altri ancora erano intontiti dalla frase del re. Efestione , dagli occhi gonfi di lacrime, scorto Bucefalo dal Re mentre un servo portava lo sgabello per montare facilmente, cosa tutt'altro che semplice con la ferita che lo affliggeva. Il Re accarezzo il cavallo nero dalla macchia bianca sulla fronte planando con la mano sul pelo liscio e dolce del cavallo ferito e interrotto qua e la da cicatrici di freccia e lancia, di squarci da spada e da rigonfiamenti e contusioni. Il cavallo scivolò giù dalla valle al passo portandosi fra l'esercito. Il Re s'abbandonò a un sorriso vedendo come la cavalleria abbandonò i cavalli le armi e gli scudi per raggiungere il re insieme alla fanteria al completo che in pochi istanti lo circondò acclamandolo e accarezzandolo con le mani umide di lacrime. Il Re sorrise un altra volta sinceramente , un fatto più unico che raro, ma terribilmente provato dal fatto che non sarebbe più riuscito a raggiungere l'Asia più estrema, la terra , per lui, doveva estendersi anche dopo l'India, più a Est, più a Nord, forse troppo vasta per una vita. 

Smontata le salmerie e le tende, riorganizzato l'esercito l'esercito si mise in moto sotto la supervisione del segretario del re Eumene. e a distanza di pochi giorni si ritrovavano a ripercorrere la strada di casa, in alcuni tratti si vedevano le trame lasciate dai carri macedoni quattro mesi prima in direzione dell'India. L'immagine provocò talmente tanta nostalgia al Re che si abbandonò in un triste pianto soffocato alla testa dell'esercito, invisibile a i suoi amici, invisibile anche ad Efestione, troppo indietro per vedere cosa affliggeva il re che sembrava cavalcare al passo verso Babilonia, da solo.


1 commento:

  1. Bello come inizio, aspetto il seguito eh! una cosa... più attenzione alla formza poichè ci sono alcuni refusi, ma qsto capita purtroppo sempre. baci

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